
ONOMAURUM
Oh, sentite questa. Ti danno un nome appena nasci, no? Appena esci dal casino del parto, BAM! — neanche respiri che già sei schedato. E non è un nome tipo "libertà", "infinito", "anima ribelle". No. È il nome che loro vogliono. Papà, mamma, la zia bigotta, l'albero genealogico pieno di gente morta che manco conoscerai mai. Ti battezzano come fosse un sigillo: Tu sarai Giuseppe!, Tu sarai Maria!, Tu sarai condannato a ripetere i fallimenti di tuo nonno!
E sai la cosa buffa? Lo porti addosso come una camicia di forza. La gente ti chiama, tu rispondi. Ti identifica. Ti incasella. E tu manco sai ancora se ti piace il gelato alla fragola, figurati se vuoi davvero essere "Antonio" come tuo bisnonno che aveva otto figli e pestava tutti.
E poi ti dicono che sei libero. Libero! Con un nome che suona come una sentenza. Il tuo nome è una capsula di aspettative: sii devoto, sii forte, sii fedele, sii chi vogliono loro. Sii un bravo ragazzo, sii una brava ragazza. Ma guai a essere te stesso, quello no, quello ti rovina il quadretto di famiglia.
E allora cosa fai? Se sei sveglio — e Dio sa che la sveglia arriva sempre tardi — ti accorgi che devi combattere con le lettere del tuo nome. Devi rinegoziare, riscrivere. Prendere quel maledetto "Luigi", "Francesca", "Concetta" e farci quello che ti pare. Strizzarlo, reinventarlo, sputarci sopra e poi magari baciarlo, dipende dal giorno.
Alcuni se lo cambiano proprio: "Chiamatemi Zenon", "Chiamatemi Shiva", "Chiamatemi Puffo Ribelle". Altri se lo tengono, ma lo svuotano come una vecchia zucca: ci buttano via tutta la polvere ancestrale e ci piantano dentro un cactus che almeno sa resistere.
È un atto di ribellione mistica. È guardare il cielo e dire: "Ok, Dio, sia santificato il mio nome, ma che sia davvero mio, non un biglietto d'ingresso al museo delle nevrosi familiari".
Jodorowsky? Jodorowsky l'aveva capita sta cosa. Lui ti guarda e ti dice: "Sia santificato il tuo nome", e non sta parlando del barbone con la barba lassù. Sta parlando di te. Del casino che hai in tasca e che chiami identità.
Questo è onomaurum, il nome che cerca l'oro nascosto. E a volte, come nella lettura seguente, l'ha in sé.

Va bene, parliamo di 'sto nome: Aurora Consiglio. Bello, eh? Roba che già ti immagini l'illuminazione, il profumo d'incenso e le aure dorate. Ma aspetta. Se vuoi davvero capire che roba ti stai portando addosso con un nome così, devi prima scavare nella merda. Devi trovare il piombo, mica solo stare lì a lucidarti l'oro immaginario.
Allora partiamo: Aurora. Suona poetico? Forse. Però se ci pensi è quel cazzo di momento in cui non sai nemmeno se è ancora notte o se è giorno. L'aurora è incertezza pura, è quel limbo da hangover esistenziale, quando ti svegli e non sai se devi alzarti o nasconderti sotto il letto. È il timore di non farcela, il panico di restare bloccato nel "quasi". È la promessa che forse non verrà mai mantenuta. Un'eterna sbornia emotiva, capisci?
Poi c'è il cognome: Consiglio. E qui entriamo proprio in zona pericolo. Perché certo, "consiglio" suona saggio. Suona da vecchio zen che ti dice robe tipo "non desiderare nulla e avrai tutto". Ma Consiglio è pure quella voce che ti dice cosa cazzo devi fare anche quando non glielo hai chiesto. È il padre padrone, è il prete, è il vicino di casa che sa sempre meglio di te come devi vivere. È un coltello a doppia lama: o ti guida o ti strangola.
Ora, uno potrebbe pensare che devi cambiare, migliorare, fare la Grande Opera alchemica e tutta quella roba da hippie. No, stronzate. Aurora non deve diventare oro. Aurora è già oro. Solo che si è fatta fregare dalle vocine, dai dubbi, dagli "e se", dai "forse" e dai "non sono abbastanza". Sta lì, già splendente sotto tutta quella melma psicologica, a convincersi che deve lottare per diventare qualcosa che è già.
Nella danza macabra dell'alchimia, Aurora si crede nella Nigredo, nella dissoluzione, nella merda più nera. Ma la verità? Non c'è niente da sciogliere. L'Albedo, la purificazione? Non è un cazzo di viaggio in Nepal a cercare se stessa. È solo togliersi di dosso la polvere di stronzate che gli altri le hanno buttato addosso. La Rubedo, la fase finale, l'oro? Ce l'ha tatuato sotto la pelle da quando ha cominciato a respirare.
Essere Aurora significa essere la botta di luce che ti acceca quando hai passato troppo tempo a leccarti le ferite nell'oscurità. Non è un'aspirazione, è una dichiarazione. È il primo respiro, il primo orgasmo cosmico, il pugno nello stomaco che ti dice "Sei vivo, cazzo!"
E poi, se ci mettiamo lì a spulciare il nome come dei tossici in astinenza di simbolismi, troviamo ancora più roba. Dentro Aurora c'è Aura. C'è l'Aurum, l'oro, il soffio sacro, l'aria divina. E c'è Ora, il cazzo di presente. Non ieri, non domani, adesso. Vivere adesso o crepare mentre aspetti il momento giusto.
E guarda caso, spulciando il cognome, trovi anche ROSA: la rosa mistica, il fiore che ti promette che dopo la sofferenza c'è la bellezza, la trasmutazione. E poi c'è SIGIL, il sigillo magico. Non un lucchetto da paura, ma un marchio sacro che dice: "Non tutti sono pronti a vedermi." Chiaro? Non è il supermarket della spiritualità qui. Devi meritartelo.
E alla fine, il grande spoiler: dentro Aurora Consiglio c'è scritto ORA CON IO. Chiaro come il sole. Sta tutta lì: essere ora, con sé stessa, senza dover chiedere il permesso al consiglio di turno, al guru di turno, al cazzo di manuale di self-help da quattro soldi.
E poi, se vogliamo essere proprio barocchi, troviamo pure la musica dentro il nome: SOL – LA – SI. Tre note che salgono, che ti fanno capire che non è il momento di fermarsi, di tirare giù la serranda dell'anima. È un viaggio, un'ascesa. Non è un cazzo di "trovare casa", è sapere che la casa è in movimento, come il battito di un cuore in corsa.
Quindi, in conclusione, Aurora Consiglio non deve aspettare che qualcuno le dia il via libera. È già partita, è già oro, già luce, già musica. Chi non lo vede? Fottesse. Lei splende comunque.