Aurora e Matteo avevano carriere ambiziose: lei dirigente d'azienda, lui titolare di uno studio legale. Le loro giornate iniziavano all'alba, con tazze di caffè ingollate in fretta e occhiate rapide al calendario che scandiva i loro mille impegni. Si salutavano con un bacio distratto sulla porta, per poi perdersi nelle ore di lavoro, mail,...
EHI, DICO A TE!
Non è che se ti leggo i tarocchi ti dico se quel tizio ti ama oppure no e poi fine, andiamo tutti a casa. No, amici, qua si parla di roba seria. Non sono uno di quelli con la palla di vetro e l'accento misterioso da telenovela del pomeriggio. Io uso i Rider Waite Smith, un sistema simbolico che se lo sai leggere — e io lo so leggere — ti dice dove sei, dove ti sei incasinatə
, e forse, dico forse, dove potresti smettere di raccontartela.
E il primo consulto è GRATIS se ti registri alla piattaforma Kang (consulti confidenziali, NON è richiesta la carta di credito).
La gente arriva da me con gli occhi pieni di punti interrogativi, e credimi, l'amore è quasi sempre il punto più grosso. Relazioni che non funzionano, amori tossici, fantasmi dell'ex che ancora fanno l'eco nella testa. Io ti leggo la verità che non vuoi sentirti dire, ma che hai bisogno di sentire. Ti apro le carte, ti spiego il perché, il come, e soprattutto il "cosa devi farci con questa verità".
I tarocchi, se li maneggi bene, sono jazz: improvvisi, profondi, crudi. Non sono religione, ma nemmeno fuffa. Sono un viaggio simbolico attraverso l'anima, con soste obbligate nei tuoi casini sentimentali. E sono qui per accompagnarti, ma senza mentirti. Se ti stai autoingannando, te lo dico. Se stai cercando qualcosa che non sai nominare, proviamo a dargli un nome insieme.
Non vendo illusioni, vendo consapevolezza. E questa roba, se fatta bene, ti cambia. Se vuoi sentire le carte parlare sul serio, e non con la voce di tua zia che guarda l'oroscopo in tv, allora contattami. Non sarà sempre comodo, ma sarà vero.
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Vuoi una lettura? Accomodati pure... ma attentə : potresti scoprire che il tuo futuro è un mix tra una soap opera messicana e un episodio di Black Mirror.
Ecco un esempio:
"L'uomo che amavo mi ha lasciata e io non vivo più. È come se la mia mente si fosse incastrata su di lui in un loop ossessivo da cui non riesco a uscire. Non penso ad altro, non faccio altro. È questa la mia fine? O c'è una via d'uscita?"
Cinzia*, 36 anni, Milano.
Okay, Cinzia, siediti, rilassati e accendi una sigaretta mentale, perché stiamo per addentrarci in qualcosa di bello tosto. Ti sei incasinata con questa storia d'amore andata a rotoli e ora la tua mente è come un disco rotto, incastrata su un solco che ripete lo stesso ritornello: Perché? Come ha potuto lasciarmi? Dove ho sbagliato? E così via, fino alla nausea.
Ma per fortuna io ho qui i Tarocchi di Thoth, quelli di Crowley, il vecchio mago perverso che probabilmente avrebbe trovato tutto questo esilarante, e vediamo cosa hanno da dirti.
Prima carta: La Torre. Boom! Questa non è solo una rottura, è un'esplosione nucleare. Un secondo prima eri la regina del tuo piccolo regno d'amore, e un attimo dopo è tutto ridotto in macerie fumanti. Sai cosa significa? Significa che non c'era nulla di stabile sin dall'inizio, ma tu eri lì a fare castelli in aria mentre le fondamenta già scricchiolavano. La Torre arriva e ti strappa via la benda dagli occhi: quello che sembrava solido era solo un'impalcatura di illusioni. E qui c'è la verità: questo dolore è una benedizione sotto mentite spoglie. Sì, lo so, suona come una di quelle cazzate new age, ma fidati: ogni grande rivelazione arriva con una frustata in pieno volto.
Seconda carta: L'Appeso. Ah, perfetto, ecco il momento in cui sei lì a contorcerti nella tua stessa miseria, come se fossi crocifissa su un'idea ossessiva: lui, lui, lui... quel coglione! L'Appeso è la carta dell'immobilità, ma anche della trasformazione. Sei bloccata perché vuoi esserlo. Sì, hai capito bene. Questo dolore ti piace, perché almeno è qualcosa, almeno ti fa sentire viva. Ma la verità è che la tua fissazione è un buco nero, e tu stai buttando dentro tutta la tua energia vitale senza ottenere niente in cambio. Smettila di cercare risposte che non arriveranno mai. Rovescia la prospettiva. Fai una cosa assurda. Tagliati i capelli, cambia città, iscriviti a un corso di calligrafia gotica o frequenta un'app erotica, qualsiasi cosa ti strappi da questo pantano mentale.
Terza carta: La Morte. Ah, finalmente, qualcosa di buono. La Morte non è la fine, è la transizione, il grande reset. Qui non si tratta di piangersi addosso, ma di tagliare via il marcio, bruciare i ponti e ricostruire. Quello che sei stata fino a oggi? Morta e sepolta. Quello che diventerai? Dipende solo da te. Il problema è che tu vuoi ancora che questa storia abbia un finale diverso, ma non funziona così. Devi lasciarla andare, accettare che è finita, e smettere di scrivere sequel a un film che il regista ha già chiuso con un bel The End.
Quindi, che cosa hai imparato? Che la vita non è una commedia romantica, che i finali felici sono solo interludi prima della prossima catastrofe, e che l'unico modo per sopravvivere è smettere di aggrapparsi ai fantasmi. Ora fai un bel respiro, prendi tutta questa merda e trasformala in qualcosa di nuovo. E per l'amor di Dio, esci da casa.
A questo punto so che stai pensando che non ho risposto alla domanda fatidica: "Quindi il mio futuro quale sarà?"
E io ti dico che il futuro non è un giornale già scritto che qualcuno ti consegna piegato in due con la data di domani. Il futuro sei tu. Lo costruisci con ogni singolo respiro, con ogni pensiero, con ogni decisione che prendi dopo che smetti di piangerti addosso.
E quindi le carte te l'hanno già detto, in codice, nascosto tra i simboli: esci, vivi, dimentica.
E sai cosa succederà quando farai tutto questo? Lo dimenticherai davvero. Un giorno ti sveglierai e non avrai più bisogno di chiederti che fine ha fatto, perché lui sarà un'eco lontana, un vecchio disco di cui non ricordi più il motivo della fissazione. Sarà sparito come sparisce il fumo di una sigaretta lasciata nel posacenere.
E a quel punto il tuo futuro sarà esattamente quello che avrai scelto di scrivere.
Per finire ti consiglio tre pillole d'arte.
Da leggere: "Frammenti di un discorso amoroso" di Roland Barthes.
Sì, esatto, leggi Barthes. Non è una lettura da spiaggia, ma tu non sei in spiaggia, sei nella tua testa, intrappolata in questo casino. E Barthes, in pratica, prende l'amore e lo seziona come un patologo fa con un cadavere. Parola per parola, idea per idea, ti smonta il sentimento e te lo fa vedere per quello che è: un linguaggio, un costrutto, un'illusione che hai montato tu stessa. Dopo un po' che lo leggi, cominci a renderti conto che non sei l'unica ad esserti ficcata in questo ginepraio emotivo. E questa consapevolezza, credimi, è il primo passo per uscirne.
Da vedere: "Blue Valentine" di Derek Cianfrance.
Non è un film. È un cazzotto nello stomaco a rallentatore. Ti mostra l'amore quando nasce e quando muore, senza trucchi, senza edulcorazioni, senza stronzate da commedia romantica. Lo guardi e ti rendi conto che l'amore non è una favola con il lieto fine, è un incidente a rallentatore da cui nessuno esce indenne. Ma la cosa più importante è che dopo averlo visto, non puoi più permetterti di romanticizzare il passato. Lo vedi per quello che è stato: bello, doloroso, tossico, inevitabile. E poi vai avanti.
Da ascoltare: "Famous Blue Raincoat" di Leonard Cohen.
Mettiti le cuffie, chiudi gli occhi e ascolta la voce di Cohen che scivola dentro di te come un vecchio fantasma che sa tutto, ha visto tutto, e ha deciso di cantartelo con un filo di voce. Questa non è solo una canzone, è una lettera, è il dolore messo in musica, è un uomo che dice addio senza neanche sapere bene perché. La ascolti e capisci che a volte il dolore non si chiude con un punto, si dissolve nel tempo, come la pioggia su un impermeabile ormai logoro.
Prendile pure senza paura, perché l'unico effetto collaterale è che potrebbero farti guarire.
* La consultante ha acconsentito alla pubblicazione.

"I Tarocchi, eh? Ancora con sta roba? Funzionano? Ma che significa funzionano? Come un tostapane? Ma dai! Funzionano perché fanno muovere qualcosa dentro. Funzionano come funziona una canzone che ti strappa il cuore senza toccarti un muscolo".
Allora facciamola finita con questa idea che debbano prevedere il futuro come se fossero Google Calendar con le piume. I Tarocchi non sono un servizio clienti dell'invisibile. Sono simboli. Archetipi. Roba grossa. Gente come Jung li ha guardati e ha detto: "Qui c'è l'inconscio che parla". E non lo diceva per fare colpo sulla platea, lo diceva perché lì dentro c'è un linguaggio, una grammatica fatta d'immagini che ti attraversano, ti sfondano, ti mettono davanti a te stessə nudə come in uno specchio che non mente mai.
Quando tu stendi le carte, non è un gioco da tavolo. È una narrazione. È come se stessi montando un film con i fotogrammi della tua anima. Ogni carta è una scena, un'atmosfera, un tema musicale. Il Diavolo non è lì per farti paura: è per chiederti cosa stai nascondendo a te stesso. Il Giudizio? Non ti sta processando, ti sta svegliando.
E il bello è che funzionano anche perché ti obbligano a raccontarti. Ma mica con le solite quattro frasi da curriculum. No. Ti costringono a scavare, a unire i puntini tra chi eri e chi hai paura di diventare. Non ti dicono chi sei. Ti chiedono: "Chi vuoi diventare?"
E poi c'è quella cosa che fa rabbrividire gli scettici con la cravatta ben stirata: la sincronicità. Jung la chiamava così, ma chi ha tirato i dadi nella vita lo sa già: ci sono momenti in cui tutto si incastra. Come se l'universo avesse improvvisamente imparato a parlare la tua lingua. Tu peschi una carta, e bam – è proprio quella che ti mette il dito nella ferita che stavi fingendo di non avere. E tu non sai se ridere, piangere o ringraziare. Ma non è magia da Hogwarts, no. È che c'è una parte di te che sa prima di sapere. E quella parte, quando mescoli le carte, prende la guida. Non stai predicendo: stai ascoltando. E in quel momento, in quel piccolo rituale, stai fuori dal tempo cronologico, quello degli orologi e delle scadenze. Sei in un altro tempo. Quello vero.
Guarda, non è nemmeno questione di interpretare "la realtà là fuori". I Tarocchi ti riportano alla relazione tra te e quella realtà. Sono uno specchio che non riflette la faccia, ma il casino che hai dentro. Le tue paure travestite da scelte. I desideri che non hai il coraggio di dire nemmeno a te stessə . Come in analisi, ma senza divano.
E poi c'è il rito. Ah, il rito. Non roba da stregoni coi cappucci. Rito nel senso di sospendere il rumore. Spegni il telefono. Accendi una candela. Fai una domanda vera. Quel momento in cui apri lo spazio e il tempo per ascoltare davvero. È lì che succede la magia. Non perché cala la nebbia e appare un fantasma, ma perché finalmente, per una volta, ti prendi il lusso di fermarti. Di sentire. Di vedere.
Quindi la prossima volta che qualcuno ti chiede "Ma funzionano?", tu guardalo con calma, magari con un sorriso storto, e digli: "Sì, funzionano. Ma non come pensi tu. Funzionano perché fanno muovere. Perché parlano. Perché risuonano". E se ascolti bene, magari ti rispondono. O meglio: ti fanno le domande giuste.
E quelle sono le uniche che contano davvero.

Ogni volta che salta fuori la parola Tarocchi, c'è sempre qualcuno – sempre – che storce il naso, tipo 'Eh, ma ci credi davvero?' Come se stessi parlando di Babbo Natale in seduta spiritica". Ecco, già qui abbiamo un problema. Perché quella domanda è costruita su una premessa sbagliata come una torta senza farina: che i Tarocchi siano roba di fede, di credo, di "O sei dentro o sei fuori".
Ma ascolta bene, i Tarocchi non sono una religione, non sono una setta, non sono il catechismo sotto steroidi. I Tarocchi semplicemente esistono. Stanno lì, impilati sul tavolo come le carte di un poker metafisico. Non si tratta di "credere". Si tratta di sapere che ci sono, come c'è il jazz, come c'è la luce arancione di un tramonto che ti prende alla gola senza dover spiegare un accidenti a nessuno.
Ecco il punto: i Tarocchi sono un linguaggio, capito? Come l'inglese, come il sassofono, come il silenzio carico di significato tra due persone che si stanno per dire addio. Non è che uno "crede" alla poesia, al cinema d'autore o alla Quinta di Beethoven. Uno li vive. Li sente. Ci si riconosce. Così funziona con i Tarocchi: ti parlano, se tu ti degni di ascoltare.
E la gente che li guarda dall'alto in basso, come fossero i giocattoli di un ciarlatano da fiera, pensa che servano solo a dire: "Tra tre giorni ti lascia tua moglie e ti ruba il cane". Sciocchezze. I Tarocchi non fanno previsioni meteorologiche dell'anima, non dicono che "domani alle cinque e venticinque succede questo". No. Ti raccontano come si muove l'energia che ti abita dentro, ti svelano simboli che bussano alla porta mentre tu sei distrattə
a scrollare il cellulare. Sono finestre, i Tarocchi. Aperture sul futuro, ma anche sul passato e sul tuo dannato presente. Non ti chiedono di inginocchiarti. Ti chiedono attenzione. Come la voce di tua madre nei sogni. Come un ricordo che torna quando meno te lo aspetti.
Ora, se uno arriva con l'aria da ispettore della razionalità e dice: "Eh, ma se non sono verificabili, allora non sono veri", gli devi rispondere così: "Caro, nemmeno il vento si vede, ma quando ti sbatte la porta in faccia, lo senti eccome". La realtà non è fatta solo di cose solide. È fatta di significati condivisi. Di emozioni che si organizzano in simboli.
E a chi domanda: "Ma chi decide cosa vuol dire una carta?" rispondi: "Nessuno. Tutti. È come guardare un quadro: tu, davanti alla Giustizia, ci vedi la tua voglia di equilibrio, l'altro ci vede la paura del tribunale. E tutte e due le cose sono vere. La Luna può essere il sogno di libertà o il terrore del tradimento. Dipende da chi la guarda".
Usare i Tarocchi è una forma d'arte. È come danzare con i simboli, non inchiodarli al muro. È un atto filosofico, poetico, e incredibilmente umano. Non è roba da "credenti". È roba per chi ha il coraggio di farsi delle domande serie, di quelle che fanno tremare le ginocchia.
Perciò, alla solita domanda del tipo "Ci credi?", la risposta, quella vera, è questa: "No, non ci credo. Li vivo. Li ascolto. Ci parlo. E soprattutto, lascio che loro parlino a me".
Perché i Tarocchi non vogliono essere creduti. Vogliono essere vissuti. E questa è la cosa più vera che ci sia.
...di Cupido non mi fido!
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